Chiesa e Convento di San Michele Arcangelo su Monte Albano

Senza ombra di dubbio il Convento e la Chiesa dedicati a San Michele Arcangelo, appaiono come il complesso storicamente più interessante dal punto di vista architettonico e paesaggistico nel territorio comunale di Guidonia Montecelio. Proprio questo motivo e la pregevole situazione ambientale che circonda la struttura, hanno spinto l’Amministrazione comunale ad avviare un imponente restauro che dura da circa trent’anni soprattutto perché il grande convento, per una serie di vicissitudini dovute a problemi bellici o ad usi impropri degli spazi, si presentava in precario stato di conservazione. Il progetto generale di restauro, realizzato dall’Architetto Franco De Luca, ed avviato dal Comune fin dal 1984 sotto la sorveglianza della Soprintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici[1], è stato finanziato in più riprese dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Roma e dallo stesse ente di appartenenza.
Il convento occupa la parte sommitale del Monte Albano (m 370), una delle cime dei Monti Cornicolani, che insieme all’altura della Rocca forma l’abitato di Montecelio. Le due alture furono occupate dall’uomo fin dall’epoca antica, in particolare per quella della Rocca gli studi archeologici formulano l’ipotesi di una coincidenza con l’antico centro di Corniculum, uno dei luoghi, come ci informa Tito Livio (Ab Urbe condita, I, 38) finito nell’orbita romana per mano di Tarquinio Prisco e di cui lo storico greco Dionigi di Alicarnasso ci offre una interessante narrazione della sua conquista (Antichità romane, I, 50). Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (III, 68) annovera questo centro tra quelli di cui, dopo la presa, non si farà più menzione [2]. Il nome dell’abitato, Corniculum, si riferirebbe alla forma di piccolo corno di cui le alture che spiccano nel paesaggio piatto, assumono la fisionomia. Un luogo simile, sufficientemente difendibile con una tale potenza di avvistamento e di controllo di un vasto e fertile territorio, non poteva non attrarre l’insediamento dell’uomo, che a più riprese, non solo in epoca antica, occuperà le alture.
Monte Albano e la sua storia
Monte Albano mostra tracce di un’occupazione piuttosto antica: nel periodo del Bronzo Finale (X-IX secolo a.C.) sulle pendici della collina di Monte Albano si dovevano trovare alcuni nuclei di abitati di capanne le cui tracce sono ben documentate da un gruppo di vasi altamente rappresentativi esposti nella sezione Protostorica del Museo Lanciani. Le pendici di Monte Albano, meno scoscese di quelle della vicina Rocca, risultavano più adatte alla coltivazione: notevole tra gli altri un grande vaso, dolio, in cui sono stati rintracciati residui oleosi, da riferire ad olio di ulivastro[3]. Significative aree destinate alle sepolture dovevano estendersi sempre sulle pendici orientali del colle ma più in basso[4]. Non meno interessate l’occupazione di età medievale ricostruita mirabilmente dallo studioso francese Jean Coste cui va il merito di aver chiarito alcuni fondamentali aspetti che ancora alla metà del secolo scorso venivano diversamente interpretati [5]. Su entrambe le alture, l’attuale Rocca e Monte Albano furono fondati due “castra”, ma ad un secolo di distanza l’uno dall’altro: il Castrum Monticeliorum nel X secolo, quello denominato Montis Albani, che ci interessa più da vicino, nell’XI secolo. Gli studi hanno chiarito che le fondazione dei due luoghi muniti devono essere attribuite ad i membri della stessa famiglia, quella dei Crescenzi di Sabina, mediante divisione ereditaria.
Il centro possedeva un cospicuo territorio che viene identificato con le terre verso Roma a S-SO, poiché effettivamente l’altura è posta in quella direzione, mentre a Monticelli sarà stato riservato l’ambito collinare e la zona ad Est[6]. Passò quindi in proprietà del monastero romano di San Paolo fuori le Mura proprio agli inizi del ‘200 che per altri due secoli manterrà il suo possedimento. Solo nel 1436 questi possedimenti verranno venduti dalla Chiesa alla famiglia degli Orsini: i due centri situati “ad un tiro di balestra” furono indicati globalmente nell’atto di vendita[7].
La Chiesa di San Michele Arcangelo su Monte Albano
Monte Albano era quasi totalmente abbandonato al momento della vendita, vi rimaneva isolata la chiesa di S. Angelo[8]. Fondamentale per gli sviluppi edilizi successivi che avverranno sull’altura sarà la generosa donazione avvenuta nel corso del ‘600 ad opera del Cavalier Marco Valenti che trasmise ai Frati Minori la chiesuola da lui eretta in onore di S. Michele con tutte le sue pertinenze[9] perché in questo luogo fosse eretto un convento che già nel 1708 deve essere finito di costruire poiché i frati vi dimoravano. A questa prima costruzione negli anni a seguire verranno aggiunti altri tre lati del dormitorio ed il muro di cinta del giardino. Nel decennio successivo si diede l’avvio ai lavori per la realizzazione di una nuova chiesa, poiché quella donata da Marco Valenti era ormai inadeguata. Su progetto dell’architetto romano Alfieri, secondo quanto ci riferisce D. Celestino Piccolini[10], nel 1724 si pose la prima pietra[11]. Questo architetto, la cui unica fonte al riguardo è quella del Piccolini, potrebbe essere identificato con Benedetto Alfieri, cugino di Vittorio, che dopo aver studiato presso i Gesuiti a Roma, realizzò i suoi progetti soprattutto in Piemonte, regione da cui proveniva il padre.
La chiesa fu aperta al culto nel 1745. All’edifico si accede da un sagrato sollevato da alcuni gradini dal piazzale dove precedentemente era ubicata la piccola chiesa originaria, abbattuta nel 1741. La facciata culmina in un timpano triangolare ingentilito da due grandi mensole. Il campanile si trova sul lato sinistro. L’interno della chiesa, costituito da un’unica navata, è caratterizzato dalla presenza di due piccole cappelle per lato; l’aula è separata dalla zona presbiteriale da una balaustra marmorea che inquadra il grande altare. Chiude il presbiterio l’iconostasi con due nicchie dove erano collocate le statue lignee di S. Francesco e S. Antonio; nella zona retrostante si sviluppa il grande coro ligneo del 1769, opera dell’artista Frate Celestino da Quarona che realizzò anche i confessionali, sormontato da una grande rappresentazione di S. Michele, copia settecentesca del quadro di Guido Reni conservato nella chiesa romana dei Cappuccini in Via Veneto. A sinistra si sviluppa l’ampia sala destinata a sacrestia. Molte e pregevoli decorazioni furono realizzate dagli stessi religiosi francescani fra cui spicca l’opera di Padre Michelangelo Cianti, rinomato pittore, collocabile tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo successivo. Egli contribuì alla decorazione della volta con l’Assunzione della Vergine e realizzò i due dipinti murali che decorano le tribune, a sinistra l’approvazione della regola francescana da parte di Innocenzo III (ora quasi del tutto perduto) e a destra l’apoteosi di S. Francesco. Alla chiesa si affianca il convento che si sviluppa con i suoi bracci intorno al chiostro con pozzo centrale e cisterna sottostante. Sul chiostro gravitava la sala capitolare e attraverso un corridoio con altri vani di servizio si accedeva al vasto refettorio. Le lunette del chiostro sono decorate con scene della vita di S. Francesco, realizzate nell’ultimo trentennio del Settecento, altre tracce di decorazione riferibili alla rappresentazione dell’Ultima Cena sono state riconosciute più recentemente nel refettorio. In una piccola lunetta alla base di una delle scale per il piano superiore sono rappresentati S. Domenico e S. Francesco. Al piano superiore erano le celle dei frati, la stanza del Priore ed una cucina. Attraverso un ampia galleria è possibile raggiungere la galleria dell’organo. Il convento e la chiesa prospettano su un vasto piazzale e sui lati e sul retro è un notevole giardino che ripete le dimensioni del primitivo appezzamento donato ai frati conventuali dal generoso Cavalier Valenti. Il panorama che si offre allo spettatore è particolarmente interessante e consente di intuire le possibilità di controllo dell’altura che furono uno dei principali motivi di occupazione di questo luogo.
Il Museo Archeologico Rodolfo Lanciani
La collezione archeologica di cui il comune di Guidonia Montecelio dispone, concessa in deposito dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, è piuttosto cospicua. Lo stesso comune ha disposto, come si è accennato, di destinare il piano terreno del convento di S. Michele all’esposizione di questi numerosissimi reperti. I ritrovamenti, costituiti da materiale ceramico, scultoreo, da decorazioni architettoniche, da collezioni numismatiche e metalli, sono tutti riferibili al territorio comunale che dimostra così la frequentazione dell’uomo, sia pure in forme diverse, dalla Preistoria senza soluzioni di continuità fino ad oggi. Il nuovo Museo è dedicato ad un illustre figura originaria di Montecelio, Rodolfo Lanciani, ingegnere ed architetto, professore di Topografia romana presso l’Università La Sapienza fino al 1922[12]. Grande comunicatore, le sue lezioni erano seguite oltre che dagli studenti, da un folto pubblico “in prevalenza esotico, di ascoltatori, venerandi pensionati, e signore, specialmente britanniche”. Encomiabile il suo impegno in un ciclo di conferenze tenute negli Stati Uniti tra il 1886-87 che si proponeva di far conoscere all’esterno il nostro immenso patrimonio culturale.
[1] Il Nulla Osta della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici è del 1988 (19/7/1988, n. 13512).
[2] Per le fonti citate cfr. M.T. Petrara, M. Sperandio, Un centro protostorico-arcaico dell’antico Lazio: Corniculum, in Archeologi tra ‘800 e ‘900. Città e monumenti riscoperti tra Etruria e Lazio antico, Guidonia Montecelio 2012, pp. 12-13 (con bibl. prec.)
[3] Per queste osservazioni cfr. Petrara, Sperandio, art. cit., p.13; per l’inquadramento storico-topografico e per la descrizione dettagliata dei vasi cfr. Z. Mari-M. Sperandio, I materiali del Bronzo Finale dell’abitato di Montecelio, in AMSTSA 80, 2007, pp. 143-162
[4] Cfr. Mari-Sperandio, art. cit., p. 146
[5] J. Coste, Due villaggi scomparsi del Tiburtino: Monte Albano e Poggio di Monte Albano, in AMSTSA 53, 1980, pp. 79-112
[6] Id., p. 95-96
[7] ad invicem ad iactum unius baliste: cfr. Coste, p. 98
[8] La chiesa di S. Angelo, come apprendiamo da un documento del 1463 riportato da J. Coste, appariva “ruralis set campestris”
[9]Cfr. Montecelio, mille anni di storia (a cura di M. Sperandio), Montecompatri 2007, pp. 33-36. La volontà di Valenti
[10] C. Piccolini, Montecelio già Monticelli, rist. Tivoli 1960, p. 49
[11] Sulla chiesa di S. Michele cfr. anche C. Piccolini, Chiese di Monticelli, AMSTSA 11-12, 1931-32, pp. 317-372 e Mdello stesso autore: Montecelio e il suo pittore Michelangelo Cianti, Terni 1919; risale al Settecento la dettagliata descrizione sulla chiesa di Padre Casimiro: P. Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese e dei conventi dei Frati Minori della Provincia romana, Rome 1744, pp. 236-264
[12] Sulla straordinaria storia di Rodolfo Lanciani cfr. il pregevole saggio del Prof. D. Palombi dal titolo: Rodolfo Lanciani. L’archeologia a Roma tra Ottocento e Novecento, Roma 2006