Il Duomo di Fara Sabina

Il Natale del 2010 sarà per molti anni ricordato a Fara come quello della riapertura del Duomo, dopo vent’anni di chiusura forzata dovuta alla necessità di interventi di messa in sicurezza che rendessero nuovamente agibile la struttura. Così, da circa un anno, nella Collegiata di Fara si è tornati a dir Messa ed a lavorare perché, un poco alla volta, il luogo torni agli antichi splendori.
Certo, perché quello che è possibile visitare oggi non è ancora tornato ad essere il Duomo dei momenti di massimo fulgore ma, viceversa, nulla è andato perduto: gli antichi e preziosi arredi sacri – custoditi durante i venti anni di chiusura della chiesa presso la Diocesi a Poggio Mirteto – stanno riprendendo la strada di casa per tornare ad adornare la Collegiata.
Così, visitare oggi il Duomo di Fara permette non solo di apprezzare la bellezza dell’edifico e delle opere d’arte che esso contiene ma anche di essere testimoni della sua rinascita e del percorso che lo riporterà agli antichi fasti.
Duomo di Fara Sabina: la storia
Prima di iniziare la visita, diciamo anzitutto che la chiesa intitolata a Sant’Antonio Martire e solitamente chiamata Duomo nasce “tecnicamente” come “Collegiata”, ovvero come sede di residenza di un “collegio” di canonici che viveva sotto un’unica regola e che costituiva il “capitolo”.
Dunque, per ospitare il Capitolo, la comunità di Fara realizza la collegiata tra il 1501 ed il 1506. La costruzione era completata da “la chiesa sotterranea, il cemeterio, il campanile diviso”: infatti, in realtà, più che di una costruzione si trattò di una ricostruzione perché una chiesa (quella definita “sotterranea”) – sempre intitolata a Sant’Antonio Martire – già esisteva nello stesso luogo nella prima metà del ‘300 e venne incorporata nell’edificio che vediamo oggi.
Quest’ultimo, per la sua contiguità con la rocca e per la struttura delle sue fondamenta, doveva essere parte della cinta muraria difensiva di Fara.
La chiesa sotterranea
Un esame della chiesa “sotterranea” ci permette di acquisire ulteriori elementi di conoscenza sull’origine dell’attuale duomo: infatti, gli spazi sottostanti la chiesa attuale, sono anch’essi scanditi da una partizione a tre navate (come il duomo), con tracce di murature più antiche, con tutta probabilità risalenti al periodo altomedievale o, addirittura, tardo romano; in particolare la presenza del ”Cemeterio”, riconoscibile nelle tre camere-ossario ancora visibili sul fianco sinistro dell’ambiente sottostante la nave centrale, lascia intendere una stratigrafia articolata nel passaggio dalla chiesa originaria alla sua sopraelevazione di periodo quattro-cinquecentesco. Inoltre – sempre negli ambienti sottostanti – il coronamento orientale della nave laterale destra, recante una piccola abside esternamente caratterizzata da una monofora a “bocca di lupo” e internamente affrescata con un dipinto assai singolare (di cui nel seguito), suggerirebbero l’esistenza di un “triconco”, la classica terminazione a tre absidi delle chiese tardo-romaniche costruite a cavallo dell’anno mille.
Duomo di Fara Sabina: la visita
Passiamo ora dalla storia alla visita. La facciata dell’edifico è in stile romanico. Il portale reca scolpito sull’architrave lo stemma di Fara (fatto che indica come la comunità locale collaborò alla realizzazione della Collegiata) mentre all’apice delle due colonne che fiancheggiano il portale sono poste le rose simbolo della famiglia Orsini (che fu feudataria di Fara) e sulla base sono presenti due bassorilievi con trofei d’armi. Lo stemma di Fara, in una bella realizzazione a stucco, si trova anche entrando nella chiesa, riprodotto nel soffitto subito davanti all’organo.
La chiesa, è formata da una ampia navata centrale e da due laterali che ospitano undici cappelle (o altari). Sulla volta della navata centrale, un ampio affresco rappresenta Sant’Antonio. Il pavimento attualmente in opera risale alla fine dell’800.
Le undici cappelle sono dovute alle più abbienti famiglie faresi o alle confraternite. Ovviamente, per quanto detto prima, sono oggi prive dei loro ornamenti originari (ad esempio gli argenti) ma testimoniano chiaramente l’importanza dell’edificio sacro.
Proviamo a guardarne insieme alcune. Partendo dalla prima della navata di destra (entrando) notiamo un grande crocefisso che si dice essere rivestito di pelle umana e che la documentazione storica riferisce essere di fattura orientale. Potrebbe essere datato tra il XVI ed il XVII secolo e la rappresentazione forte e realista del Cristo lo farebbe ritenere ispirato dalle teorie della Controriforma.
Segue la Cappella dell’Epifania, patronato prima della famiglia Savorelli di Rieti, poi dei Tranquilli ed infine dei Manfredi. L’altare è adornato da un affresco del ‘500 rappresentante i Re Magi.
Le due cappelle che seguono lungo la navata erano rispettivamente giuspatronato della Compagnia del Santo Rosario e della famiglia Puccini. La prima era dedicata alla Madonna del Rosario ed ospitava un dipinto, rappresentantela Verginecon il Bambino in braccio nell’atto di offrire il Rosario e San Domenico ed a Santa Caterina da Siena, dovuto a Vincenzo Manenti (Orvinio, 1600 – 1674) ed attualmente ancora custodito presso la Diocesi.
La cappella a destra dell’altare maggiore, conserva uno degli oggetti di maggior valore del Duomo: il tabernacolo o ciborio rinascimentale dovuto alla scuola del Vignola, in alabastro di Volterra, a forma di tempio a due piani sovrapposti.
L’altare maggiore, detto del SS. Sacramento, rinascimentale, assai elegante in marmo policromo, cela un coro ligneo imponente sovrastato a sua volta, da una tela ovale, racchiusa da una cornice barocca, che rappresenta Santa Fara nell’atto di porgere la città di Fara stessa al suo protettore, Sant’Antonino, vestito con i paludamenti episcopali. La pala, settecentesca, è anche interessante perché la città che Santa Fara tiene tra le mani è una fedele riproduzione della Fara dell’epoca.
Alla sinistra dell’altare maggiore vi è la cappella della Pietà, che fonti settecentesche indicano come giuspatronato della famiglia Liseni, che conserva un affresco rappresentante la Deposizione.
La navata sinistra, che a questo punto stiamo percorrendo dall’altare centrale verso l’ingresso dell’edificio, inizia con la cappella che ospita una Crocefissione attribuita alla scuola di Guido Reni. La pala rappresenta Gesù crocefisso tra la Vergine e San Giovanni con ai suoi piedi la Maddalena. L’opera è stata posta in sede intorno al 1716 e venne restaurata una prima volta nel 1754. Oggi, dopo un recentissimo restauro, è tornata alla sua originale bellezza.
L’altare successivo – l’unico dotato di colonne “ritorte” – è giuspatronato della famiglia Corradini, come si rileva dallo stemma gentilizio posto alla base delle due colonne. L’altare ospita una pala rappresentante i Santi Apostoli Pietro e Paolo con Santa Fara.
La cappella che segue accoglie una pala rappresentante Sant’Antonio Abateorante nel deserto realizzata nel 1790 dal pittore romano Angelo Maria Camponeschi ed offerta dalla famiglia Stefanelli.
L’ultimo altare della navata destra ospita il fonte battesimale ed è cinto da una balaustra di marmi policromi.
Sottostante il Duomo, come si è detto, vi è la chiesa cimiteriale utilizzata per le sepolture fino all’inizio del 1800 ed oggi contenente l’ossario delle medesime. Una piccola abside è affrescata con tre figure: il Redentore,la Vergine ed una terza figura di santo su cui sono possibili diverse ipotesi d’identità. La presenza di una spada al centro dell’affresco, che emerge come senza riferimenti, ci lascia pensare che quanto oggi vediamo ricopra un affresco più antico, forse medievale. Si tratta di una delle molte vicende da studiare e dei molti restauri da effettuare perché il Duomo possa completare la sua rinascita.
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