NeurologiaTerza età

Alzheimer: conoscere la malattia

L’Alzheimer rappresenta la più frequente patologia neurodegenerativa: ne soffre il 60-70% di tutti i soggetti affetti da demenza, per un totale di 50 milioni di persone a livello mondiale. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tale numero a triplicherà entro il 2050, trattandosi di una malattia tipicamente associata all’invecchiamento (raggiunge il 15-20% nei soggetti con più di 80 anni).

Nel mondo, ogni anno vengono diagnosticati circa 10 milioni di nuovi casi. Sono le donne ad essere più colpite, probabilmente perché vivono più a lungo degli uomini.

In Italia, secondo Paese più longevo al mondo, sono circa 2 milioni gli individui affetti da demenze (inclusi i casi di deficit cognitivo isolato) e, di questi, si stima che siano oltre 600.000 le persone colpite da Alzheimer.

Le demenze, e l’Alzheimer in particolare, rappresentano la quinta causa di morte in Italia; nel 2015 sono state responsabili del 5% di tutti i decessi (7% tra gli ultraottantenni).

Alzheimer: fasi della malattia

Come tutte le forme di demenza, l’Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, con compromissione della memoria, del pensiero e del comportamento. I primi segni di malattia che i familiari possono notare sono rappresentati dalla difficoltà a ricordare eventi recenti e svolgere mansioni routinarie e consuete. Possono inoltre manifestarsi confusione, modificazioni della personalità e del comportamento, compromissione della capacità di giudizio, difficoltà nel trovare le parole, nel concludere un discorso. Convenzionalmente, si distinguono tre stadi di malattia:

  • Alzheimer lieve: i sintomi più comuni sono perdita di memoria, problemi nel linguaggio e sbalzi d’umore. Le prime aree del cervello che subiscono un deterioramento sono, infatti, quelle che controllano la memoria e il linguaggio. La fase iniziale è spesso sottovalutata e interpretata come una normale componente del processo di invecchiamento.
  • Alzheimer moderato: al progredire della malattia possono comparire disorientamento, difficoltà a orientarsi nello spazio, problemi alla vista, allucinazioni, comportamenti ossessivi e ripetitivi, disturbi del sonno, incontinenza. In questa fase compare il sintomo che più tipicamente si associa all’Alzheimer: la perdita della memoria a breve termine. Già dallo stadio moderato dell’Alzheimer, il malato ha bisogno di assistenza costante che diventa sempre più intensa al progredire della patologia.
  • Alzheimer severo: questa fase è caratterizzata da una totale dipendenza del malato e dalla sua inattività. Il disturbo della memoria è molto grave e, in generale, i sintomi comparsi in precedenza diventano più accentuati. Possono aggiungersi difficoltà a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito, maggiore sensibilità alle infezioni.

Alzheimer: le cause

Ad oggi, le cause restano ignote, mentre sono stati identificati alcuni fattori di rischio che ne favoriscono l’insorgenza:

  • età avanzata
  • fattori genetici / storia familiare
  • traumi cranici
  • stile di vita e malattie vascolari: l’Alzheimer può sovrapporsi o essere favorito dal malfunzionamento dei piccoli vasi sanguigni del cervello. Questo, a sua volta, è favorito da fattori di rischio come il fumo, l’obesità, il diabete, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia. (leggi anche: Herpes: fattore di rischio per l’Alzheimer?)

Se non sono ancora note le cause che innescano l’atrofizzarsi progressivo di aree via via più estese del cervello, con la conseguente alterazione della sua capacità di funzionare correttamente, si conoscono, invece, i due meccanismi alla base della morte cellulare precoce nel cervello delle persone affette da Alzheimer:

  • nel primo, una proteina, la beta amiloide, presente in quantità abnorme, si deposita negli spazi intercellulari dando origine a placche e danneggiando i neuroni;
  • il secondo si deve alla proteina Tau, che forma grovigli di filamenti all’interno dei neuroni, passando dall’uno all’altro come se si trattasse di un’infezione virale, minacciandone l’integrità e la funzionalità. La perdita di cellule nervose è particolarmente spiccata in una piccola struttura, l’ippocampo, che gioca un ruolo cruciale nel consolidamento dei ricordi.

Studi recenti hanno dimostrato che queste proteine neurotossiche iniziano ad accumularsi nel cervello diversi anni prima della comparsa dei sintomi clinici: l’accumulo di beta amiloide comincia tra i 15 e i 20 anni prima dei tipici disturbi di memoria, mentre l’accumulo di gomitoli neurofibrillari e la conseguente perdita di cellule nervose cominciano circa 10 anni prima dei sintomi. In questo arco temporale, i sintomi non si manifestano o sono minimi perché nel cervello c’è un numero enorme di cellule, di circuiti e di sinapsi pronti ad entrare in gioco per sostituire quelli danneggiati o distrutti dalla malattia. Questo meccanismo permette di ritardare di anni la comparsa dei disturbi, fino a quando si arriva ad una soglia limite, superata la quale la malattia comincia la sua fase di progressione ineluttabile.

Diagnosticare l’Alzheimer

La diagnosi di Alzheimer viene effettuata con relativa facilità quando il paziente mostra già delle disabilità, cioè quando sono presenti delle difficoltà che interferiscono nello svolgimento delle attività quotidiane. La diagnosi è il risultato di un attento esame clinico della persona, effettuato attraverso la raccolta delle informazioni anamnestiche, un esame neurologico, la somministrazione di test cognitivi, l’effettuazione di specifici esami di neuroimmagine.

Non è possibile diagnosticare la malattia quando non si è ancora manifestato nessun disturbo di memoria o cognitivo. Tuttavia, all’interno della finestra delle lievi dimenticanze, è possibile effettuare degli specifici esami diagnostici che vanno alla ricerca dei cosiddetti marcatori di malattia, che riconoscono quando si stanno accumulando beta amiloide e gomitoli neurofibrillari nel cervello. Si tratta di esami sofisticati quali: la Risonanza Magnetica ad alta definizione, la Tomografia ad Emissione di Positroni con Fluorodesossiglucosio (FDG-PET), la Tomografia a Emissione di Positroni con tracciante per l’amiloide (Amyloid-PET), la rachicentesi (puntura lombare) con dosaggio liquorale di beta amiloide e proteina tau.

Terapie

Ad oggi non esistono farmaci in grado di arrestare o far regredire la malattia di Alzheimer. I trattamenti disponibili vengono utilizzati per alleviare i sintomi o limitarne l’aggravarsi per brevi periodi:

  • inibitori dell’acetilcolinesterasi: bloccando l’attività dell’enzima acetilcolinesterasi, aiutano a mantenere nel cervello maggiori quantità di acetilcolina, un neurotrasmettitore importante per il corretto funzionamento della memoria e, in generale, del pensiero;
  • memantina: riduce temporaneamente il deterioramento cognitivo dovuto alla patologia contrastando l’azione del glutammato, un neurotrasmettitore la cui eccessiva attività può danneggiare i neuroni.
  • la terapia dell’Alzheimer può comprendere anche farmaci antidepressivi, ansiolitici, ipnotici e antipsicotici, che permettono di controllare i sintomi più invalidanti e disturbanti della malattia, come la depressione, i disturbi del sonno, i disturbi comportamentali, consentendo una condizione di convivenza più accettabile del paziente con i familiari e un adeguato accudimento del paziente alla propria abitazione.

A coadiuvare l’azione dei farmaci, ci sono terapie come la riabilitazione neuropsicologica, efficace nelle fasi iniziali e intermedie della malattia, che si basa su esercizi cognitivi mirati.

Difendere la salute cognitiva

Dal momento che le cause dell’Alzheimer sono ancora ignote, non esistono strategie specifiche per prevenire l’insorgenza della malattia. Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato che è possibile agire sui fattori di rischio che possono favorire la demenza, specie quella causata da malfunzionamento dei piccoli vasi sanguigni del cervello.

Strategie per migliorare le performance cognitive e tenere e attivo il cervello:

  • svolgere regolare attività fisica
  • seguire una dieta sana ed equilibrata. Leggi anche: Alzheimer, quale dieta?
  • smettere di fumare
  • ridurre il consumo di alcol
  • prendersi cura del cuore, a partire dal controllo della pressione arteriosa
  • allenare la mente per favorire i meccanismi di plasticità cerebrale: leggere un libro o un giornale, fare un cruciverba, giocare a carte o dama, visitare un museo o una mostra

mantenere una rete sociale: prendere parte ad attività sociali e ricreative e impegnarsi giornalmente in rapporti con altre persone, migliora la qualità della vita ed è associato ad un minore rischio di demenza.

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