Neurologia

Alzheimer: scoperto come le proteine tossiche danneggino i neuroni

Scoperto da ricercatori italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore “A. Gemelli” di Roma il meccanismo con cui le proteine tossiche Peptide Beta Amiloide, che si accumulano nel cervello dei malati di Alzheimer, facciano danni dall’interno delle cellule nervose. Infatti, alterano le sinapsi e la trasmissione del segnale nervoso. Se al Peptide Beta Amiloide viene impedito di entrare nel neurone, queste proteine tossiche diventano innocue. In altre parole, dall’esterno della cellula sono incapaci di danneggiarla.

Peptide Beta Amiloide: accumulo danneggia le cellule nervose

Il gruppo guidata da Claudio Grassi, professore Ordinario di Fisiologia all’Università Cattolica, ha così descritto come il peptide ?-amiloide, quando si accumuli all’interno delle cellule nervose, le danneggi inesorabilmente. “Abbiamo caratterizzato, da un punto di vista funzionale, quale sia il danno provocato da questo accumulo ‘intracellulare’ di A? (in-A?), in termini di alterazioni della trasmissione sinaptica di base (ovvero, il meccanismo di ‘trasmissione’ del segnale da una cellula all’altra) e della plasticità sinaptica (ovvero, il meccanismo alla base della ‘memorizzazione’ delle informazioni)”.

“In particolare – spiega Grassi – ci siamo avvalsi di metodologie che ci consentissero di discriminare (‘isolare’) il danno causato da in-A? rispetto a quello prodotto da ex-A?. Abbiamo così dimostrato che se si blocca l’ingresso di ex-A? dal compartimento extracellulare al compartimento intracellulare o si contrastano i suoi effetti all’interno della cellula, ex-A? risulta fondamentalmente inefficace”.

Alzheimer Peptide Beta Amiloide: il meccanismo

“Queste nostre osservazioni – spiega il professor Grassi – cambiano il ‘modo di vedere’ il meccanismo d’azione di questa proteina tanto dannosa per la funzione cerebrale, richiamando l’attenzione della comunità scientifica sulla necessità di individuare i partners ‘intracellulari’ di A? piuttosto che concentrarsi, come taluni studiosi stanno facendo, sui recettori posizionati sulla membrana della cellula nervosa che interagiscono con le proteine tossiche. Noi stiamo, tra l’altro, proseguendo i nostri studi alla ricerca di questi ‘partners’ intracellulari di A?, anche grazie a una collaborazione scientifica, recentemente attivata, con il RIKEN, che è il più importante e prestigioso Istituto di Neuroscienze in Giappone”.

“Nel corso degli ultimi decenni l’avanzamento delle conoscenze in ambito medico, l’affinamento delle metodologie diagnostiche, la maggiore consapevolezza dei fattori di rischio per varie patologie e dell’importanza della prevenzione, unitamente alla disponibilità di più efficaci strumenti terapeutici, hanno prodotto un significativo incremento dell’aspettativa di vita nella gran parte del mondo occidentale e, in particolare, nel nostro Paese – sottolinea il professor Grassi – . Questa constatazione pone, comunque, una domanda fondamentale: l’allungamento della vita reso possibile dal progressi della medicina si associa, al presente, a un parallelo guadagno in termini di salute? La risposta a questo quesito ha importanti implicazioni di carattere sanitario, sociale, economico e, non da ultimo, etico”.

Una delle grandi sfide della medicina del XXI secolo è rappresentata, quindi, dall’eliminare o, quantomeno, ridurre il “gap” tra longevità e salute.

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