Modello Sanità

Intervista a Giancarlo Sforza, presidente di ANISAP Lazio

Giancarlo Sforza, presidente di ANISAP Lazio (Associazione Nazionale Istituzioni della Sanità Ambulatoriale Privata) guida da circa un anno la maggiore rappresentanza di categoria della sanità ambulatoriale privata-accreditata della Regione Lazio. SalutePiù lo ha incontrato per discutere con lui quali siano il ruolo ed il contributo che questo comparto sanitario può apportare nell’attuale momento di evoluzione del nostro Sistema Sanitario Nazionale e, più in generale, della sanità italiana.

Presidente Sforza, iniziamo dal quadro attuale. Chi sono e cosa rappresentano le strutture ambulatoriali accreditate del Lazio ?

Credo possa essere utile per il lettore iniziare dalle definizioni: per struttura ambulatoriale si intende un centro medico presso il quale non si effettua attività di ricovero ma solo, appunto, attività sanitarie che possano essere effettuate nell’ambito di un ambulatorio. Parliamo quindi di laboratori d’analisi, centri di diagnostica per immagini, fisioterapie, visite specialistiche, centri di dialisi, medicina nucleare in vivo. In termini numerici siamo 610 strutture ad operare in accreditamento con il Sistema Sanitario Regionale sull’intero territorio della Regione Lazio. Purtroppo, la mancanza di dati statistici articolati, che considerino sia i servizi sanitari erogati dal sistema pubblico che quelli, diciamo così, acquistati in proprio dai cittadini, rende più complesso dare una dimensione precisa del ruolo, certamente insostituibile, svolto dai nostri centri. Consideri solo questo: ogni anno, nel Lazio, il Servizio Sanitario Regionale eroga a favore dei cittadini circa 40 milioni di analisi del sangue: bene, di questi circa 20 milioni sono effettuati da noi, cioè dalle strutture private accreditate. Va però precisato come la normativa regionale preveda che le strutture accreditate possano erogare a carico del SSN soltanto un terzo di tutte le tipologie di analisi del sangue previste dal cosiddetto nomenclatore tariffario (cioè l’elenco delle prestazioni sanitarie fornite dal SSN) mentre per tutti gli altri test il cittadino è costretto, presso di noi, a pagare di tasca sua. Viceversa, presso i laboratori pubblici è possibile per il cittadino ottenere tutte le prestazioni in forma, diciamo così, “mutuata”. Pertanto se alle 20 milioni di prestazioni di laboratorio che ogni anno eroghiamo per conto del Servizio Sanitario Regionale aggiungessimo anche quelle che eroghiamo in modalità privata, risulterebbe evidente che la larga maggioranza degli esami del sangue eseguite nella Regione Lazio, vengono effettuate presso le nostre strutture. La situazione non sarebbe molto diversa se considerassimo, ad esempio, la radiologia e nel suo ambito la risonanza magnetica. E’ per questo che le ho detto prima che siamo una componente insostituibile di questo sistema.

Voi però lamentate una constante marginalizzazione o, se preferisce, una non valorizzazione delle vostre capacità.

Guardi, non so neanche io quale aggettivo descriva meglio la situazione che viviamo. Certamente soffriamo di un sistema assolutamente “pubblico-centrico” dove il privato è vissuto come un male necessario. Basta leggere i documenti della programmazione sanitaria regionale o nazionale: alle nostre strutture sono dedicate tre righe in trecento pagine, tipicamente per penalizzare ulteriormente li risorse a noi assegnate. Invece noi siamo quei centri “di prossimità” a cui tutti i giorni si rivolgono i cittadini per i loro problemi di salute, siamo quelli che stanno capillarmente sul territorio e per i quali il paziente che abbiamo di fronte è un viso ed una storia che conosciamo bene, da anni, non un numero. Fino ad oggi, siamo stati perla Regione Laziouna presenza irrinunciabile per il ruolo che svolgiamo ma a cui si è sempre cercato di sottrarre ruolo e risorse nel tentativo di tenere all’interno delle strutture pubbliche tutte le attività possibili, ottenendo i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: lunghe liste d’attesa a costi non più sostenibili.

Lei ha parlato di “centri di prossimità”: nell’ambito dell’assistenza territoriale recentemente ridisegnata dalla riforma Balduzzi, come siete collocati ?

Nell’ambito delle attività sanitarie poste a supporto della deospedalizzazione dei pazienti e dell’assistenza H24 per 7 giorni a settimana dei medesimi, vengono individuati come soggetti, diciamo così, “centrali” i medici di famiglia, le farmacie e i medici specialisti delle strutture pubbliche mentre le nostre strutture non sono state neanche nominate nonostante la nostra diffusione capillare sul territorio.

Immagino lei sia di un’opinione diversa ?

Noi riteniamo che sarebbe utile ed anche semplice integrare i medici di base nelle nostre strutture ambulatoriali onde consentire loro di usufruire di tutte quelle prestazioni essenziali per poter effettuare la diagnosi. Le premetto che la sola medicina di laboratorio è alla base del 70% delle diagnosi e la diagnostica per immagini rappresenta un’altra fetta fondamentale. Mi domando quale filtro potrà esserci prima dell’invio al pronto soccorso se il medico di base non potrà usufruire in modo immediato dei nostri servizi. Esiste poi anche un altro tema: quello della riabilitazione post intervento, post ictus o infarto. Gli ultimi di provvedimenti sia governativi che del commissario Bondi di riduzione sia dei posti letto per acuti che di quelli esistenti nelle strutture di ricovero per riabilitazione porterà al fatto che i pazienti dopo l’episodio acuto si troveranno a casa senza alcun possibilità reale di usufruire assistenza domiciliare per la riabilitazione nella misura necessaria. L’assurdo sta nel fatto che le nostre strutture ambulatoriali di medicina fisica e riabilitativa non possono per la normativa vigente effettuare le prestazioni riabilitative domiciliari a carico del servizio sanitario regionale. Ci sarà quindi un doppio livello di sanità: i più abbienti si pagheranno la riabilitazione di tasca propria mentre i meno abbienti saranno abbandonati a loro stessi. Viceversa, noi abbiamo sia le competenze professionali che le capacità operative per prendere in carico questi pazienti, ma si tratta di un fatto che sembra non interessare le cosiddette autorità competenti.

Quindi qual’è la proposta che la sua organizzazione pone alla Regione Lazio ?

La nostra proposta è semplice: nel determinare l’allocazione delle risorse la Regione tenga in considerazione la reale necessità di prestazioni sanitarie della popolazione la quale, in conseguenza dell’allungamento della vita, è più soggetta a malattie croniche invalidanti e ci dia le risorse per poterla assistere idoneamente. Sfideremmo la Regione a provare questa strada per scoprire che, ampliando le nostre possibilità d’intervento, si finirebbe per avere maggior assistenza ai cittadini a fronte di minori costi dato che è ben noto a tutti come le nostre strutture operino con livelli di efficienza ben diversi dal pubblico. Tra l’altro, le strutture “private accreditate” sono retribuite dalla Regione attraverso un sistema di tariffe prefissate che prevede il pagamento di un certo importo per ciascuna prestazione effettuata, quindi a costi assolutamente certi per il Servizio Sanitario Regionale. Infatti, qualsiasi inefficienza nella gestione dei nostri servizi che generasse un costo di erogazione del servizio superiore alla tariffa stabilita, ricadrebbe esclusivamente sulla nostre strutture e non certo né sulla Regione né sulle tasche dei cittadini.

 

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