Scimmie paralizzate camminano: a quando l’uomo?
Tornare a camminare in presenza di una grave lesione spinale potrebbe essere possibile entro dieci anni. Lesioni che fino ad oggi inchiodano chi ne è vittima sulla sedia a rotelle potranno trovare – attraverso la bioingegneria – soluzioni che solo pochi anni fa avremmo ritenuto al limite del miracolo.
I grandi passi avanti fatti dalle neuro-protesi, ad esempio, permettono oggi a chi abbia perso una mano di disporre di neuro-protesi che non solo permettono di collegare direttamente l’arto meccanico agli stimoli del sistema nervoso e dunque muoverlo come se fosse una mano vera ma addirittura riacquistare il senso del tatto. All’avanguardia in questo campo è la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa con la neuroprotesi Nebias e proprio da Pisa arriva un’altra sorprendente possibilità.
Protesi neurali: pilotare le gambe
Infatti, il dispositivo studiato dal Politecnico di Losanna e dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna (e reso pubblico attraverso un paper sulla rivista Nature) permette ai segnali elettrici in arrivo dal cervello di saltare le interruzioni provocate dalla lesione presente lungo il midollo spinale, permettendo così di far arrivare le informazioni ai muscoli delle gambe. I dati vengono raccolti e decodificati in maniera diretta dalla regione di corteccia cerebrale dedicata al coordinamento dei movimenti e trasmessi, senza usare fili, a elettrodi impiantati in hotspot nella parte terminale del midollo spinale.
Sperimentato su due macachi con una lesione spinale, il dispositivo ha permesso loro di tornare a camminare in poco tempo.
Un successo straordinario che è reso ancor più significativo dal fatto che il dispositivo utilizza componenti già approvate per l’uso sull’uomo e potrebbe quindi rendere possibili le prime sperimentazioni cliniche già entro dieci anni.
Oltre la lesione del midollo spinale con gli elettrodi
Un successo straordinario che è reso ancor più significativo dal fatto che il dispositivo utilizza componenti già approvate per l’uso sull’uomo e potrebbe quindi rendere possibili le prime sperimentazioni cliniche già entro dieci anni.
“Quando camminiamo il nostro cervello invia, attraverso il midollo spinale, dei comandi per attivare i muscoli – ha spiegato Silvestro Micera dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna – ma se c’è una lesione nel midollo la trasmissione si interrompe e le indicazioni dal cervello non raggiungono i muscoli. Quello che siamo riusciti a fare è stato ripristinare il collegamento in modo artificiale – Per farlo i ricercatori hanno impiantato, nella regione della corteccia cerebrale del coordinamento motorio, degli elettrodi capaci di inviare a un computer gli impulsi prodotti dal cervello. I dati in arrivo vengono elaborati e inviati a un altro dispositivo impiantato nel midollo spinale, a valle della lesione, permettendo così l’arrivo dei segnali ai muscoli.
“Impiantare elettrodi direttamente nel cervello e nel midollo spinale richiede attenzioni extra che sono allo studio – ha aggiunto Micera – ma in linea di principio traslare sull’uomo il lavoro già fatto non richiederà molto tempo. Già sono stati autorizzati studi clinici per alcuni aspetti del lavoro”. Dal 2006, anno del primo esperimento pensato per registrare con elettrodi l’attività cerebrale per muovere un braccio robot, i progressi nel settore sono stati rapidissimi tanto che anche secondo esperti non coinvolti in maniera diretta nello studio lo sviluppo tecnologico in questo ambito è davvero molto rapido. Tanto che secondo Andrew Jackson, dell’Istituto di Neuroscienze dell’università britannica di Newcastle, i primi dispositivi sull’uomo potrebbero arrivare già entro il decennio.
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