Modello Sanità

Libro Bianco della Buonasanità: quando le idee ci sono !

E’ una sanità in movimento verso il miglioramento della qualità con un occhio sempre più attento ai costi quella che emerge dalla seconda raccolta di esperienze aziendali del Libro Bianco della Buonasanità , edizione 2013, il quale raccoglie 75 esperienze selezionate dal Comitato Scientifico dell’Osservatorio FIASO (la Federazione di Asl e Ospedali) sulle buone pratiche sanitarie. Al Libro Bianco della Buonasanità si affianca inoltre la messa in rete di oltre 200 buone pratiche selezionate dall’Osservatorio FIASO e classificate in modo da renderle facilmente consultabili e quindi “esportabili”.

La maggior parte delle esperienze selezionate riguarda l’integrazione socio-sanitaria e la presa in carico delle malattie croniche (27%), tema sempre più strategico per Aziende ed assistiti. Al secondo posto ci sono le modalità organizzative, gestionali, formative e valutative che connotano la politiche del personale (25%). Seguono le buone pratiche tese a migliorare le strategie e gli strumenti correlati alle performance clinico-assistenziali e gestionali (24%), il rapporto medico-paziente (19% delle esperienze), i mutamenti nel ruolo e nelle funzioni dell’operatore infermieristico nei servizi ospedalieri e territoriali (5%). In tutto sono state coinvolte 37 Aziende, circa il 23% in più rispetto al 2011. E’ importante che in oltre il 70% dei casi le esperienze sono state adottate in forma stabile dalle aziende.

Nel Libro Bianco della Buonasanità la parte del leone la fa l’Emilia Romagna, con 25 buone pratiche, seguita dalle Marche, con 12 ma nel complesso si assiste ad una rimonta del Sud, dove si collocano il 18,7% delle esperienze, due anni fa localizzate quasi esclusivamente al Nord. Anche se nel settentrione sono state selezionate il 56% delle esperienze e nel centro poco più del  25%. Al Sud la piccola Basilicata, con 4 best practice è seconda solo alla Sicilia (5 esperienze) tra le regioni del Sud e delle Isole.

Alcune best practice dal Libro Bianco della Buonasanità FIASO

Over 65: a Prato l’assistenza è a domicilio

Creare un percorso di assistenza domiciliare intensiva per anziani soli e non autosufficienti dopo le dimissioni ospedaliere, che permetta al paziente di rimanere nel proprio ambiente di vita e di ricevere l’assistenza quotidiana di un fisioterapista, un infermiere o di un operatore sociosanitario. Ma con il supporto ancora più costante di un  familiare o della badante, appositamente formati per fornire assistenza di prima necessità. E’ l’esperienza della USL 4 di Prato che ha così favorito il rientro a casa del paziente senza transitare da un inappropriato e oneroso ricovero in RSA. Il progetto, dal titolo evocativo, “Dopo l’Ospedale meglio a casa”, costato circa 260mila euro l’anno in larga parte finanziati dai fondi della Regione Toscana, è stato concepito inizialmente come una sperimentazione della durata di 12 mesi, ma visti i risultati soddisfacenti ha ottenuto dopo il primo anno un ampliamento del progetto per ulteriori 12 mesi, con l’intento di prendere in carico circa 260 utenti/anno. Quindi mille euro ad anziano assistito. Quando si dice che offrire servizi alla persona è molto più conveniente che mettere qualche soldo in tasca in più a chi ne ha bisogno. Il servizio, garantito da una équipe multiprofessionale in cui sono presenti un infermiere, un assistente sociale e un fisioterapista, coinvolti a vario titolo nella programmazione progettuale, prevede la prima visita domiciliare entro 24/48 ore dalla dimissione e definisce un piano educativo specifico per paziente e caregiver, finalizzato a supportare l’autogestione della condizione di disabilità. L’équipe garantisce in particolare un follow up telefonico o domiciliare settimanale, fino al termine del programma.

Salute mentale: Trento punta sul sapere di utenti e familiari

La sigla magica che ha riavvicinato a Trento servizi di salute mentale, utenti e loro familiari è UFE. Niente di extraterrestre ma un  progetto quanto mai attaccato alla terra di Utenti e Familiari Esperti, nato con l’obiettivo di valorizzare il sapere esperienziale di utenti e familiari e di aumentare la loro partecipazione attiva nelle pratiche quotidiane. L’esperienza degli UFE si prefigge di migliorare la gestione di problemi tradizionalmente comuni nel mondo della salute mentale, come quelli riguardanti l’adesione ai trattamenti, alla soddisfazione e al ruolo delle parti interessate nella governance del sistema, coinvolgendo tutte le parti in causa, dai gruppi di auto-mutuo-aiuto per utenti e familiari ai gruppi di sensibilizzazione fino alla creazione di una Casa dell’auto-aiuto (struttura residenziale con 14 posti letto che vive 24 ore al giorno le pratiche della mutualità). Partendo da questa base operativa si è andata sviluppando nel tempo la figura dell’Utente FamiliareEsperto.Dal 2005 ad oggi la figura degli UFE si è diffusa in tutte le aree del Servizio di Salute mentale, e ad oggi gli UFE coinvolti sono circa 40, con diverse mansioni: alcuni operano nelCentro di salute mentale o nel Reparto ospedaliero, altri svolgono funzioni di sensibilizzazione, nelle scuole come nelle comunità, o si tengono in stretto contatto con le famiglie. La presenza degli UFE, caratterizzata da una sorta di percorso di cambiamento partecipato, gestito dal ‘basso verso l’alto’, ha favorito un miglioramento dei rapporti tra utenti, familiari e operatori, con importanti ricadute sul clima generale.

Bologna, una banca del latte per il nutrimento sicuro dei prematuri

Assicurare latte umano sicuro ai neonati prematuri: è l’obiettivo primario di un progetto avviato all’Azienda Policlinico Sant’Orsola e all’Ospedale Maggiore di Bologna con una Banca del Latte Umano Donato (BLUD) in collaborazione con l’azienda Granarolo. L’iniziativa ha fatto sì che da febbraio 2013 tutti i neonati con peso inferiore a1.500 grammiricoverati nelle Unità di Terapie intensive neonatali (UTIN) dei due ospedali bolognesi – in media circa 110 all’anno complessivamente – ricevono esclusivamente latte umano, della propria madre o proveniente dalla BLUD. Così è stato eliminato l’utilizzo di latte artificiale per i prematuri con un potenziale miglioramento di importanti indicatori clinici. L’utilizzo del latte umano, spiega l’AOU di Bologna promotrice del progetto, rappresenta un vantaggio per il neonato prematuro in quanto riduce il rischio di complicanze come l’enterocolite necrotizzante e la sepsi. In più accelera i tempi di raggiungimento dell’alimentazione enterale esclusiva. In assenza del latte della propria madre e? utile l’utilizzo di latte donato da altre neomamme, ma questo non può avvenire senza l’attivazione di una Banca del Latte che lo renda sempre fruibile e soprattutto sicuro grazie al rispetto di procedure rigorose.

Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia: per l’identificazione sicura del paziente arriva il braccialetto in ospedale

Un braccialetto con un codice a barre per identificare con sicurezza ogni paziente ricoverato in ospedale. È il metodo adottato dall’Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova di Reggio Emilia per ridurre errori ed incidenti in corsia. A febbraio 2010 l’Azienda ha introdotto in via sperimentale in alcuni reparti una nuova procedura di identificazione del paziente: all’atto del ricovero l’operatore sanitario ne effettua il riconoscimento attraverso la lettura del codice fiscale e successivamente stampa su un braccialetto identificativo autoadesivo l’anagrafica dell’utente associandovi un ‘barcode’, un codice a barre. Il braccialetto viene applicato al polso del paziente ed e? abbinato al programma di gestione informatizzata della terapia che prevede l’identificazione del paziente attraverso la lettura del codice prima di somministrare il farmaco. Da una indagine interna è emerso che per la totalità degli operatori lo strumento ha contribuito a migliorare l’identificazione del paziente, per il 93% il braccialetto è stato utile soprattutto se i pazienti non erano vigili o erano disorientati, per il 58% ha rappresentato un presidio per migliorare l’identificazione al momento della somministrazione della terapia. Percentuale, quest’ultima, che sale al 70% fra gli operatori di medicina interna che già utilizzavano il software per la prescrizione e somministrazione informatizzata del farmaco. Nel reparto chirurgico per l’82% degli operatori il braccialetto e? stato utile per migliorare l’identificazione nel trasferimento in sala operatoria. Il 60% ha riportato che il braccialetto ha evitato errori di identificazione.

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