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Linfomi associati a infezione virale: nuova terapia

Le cellule cancerose sono molto abili a eludere il sistema immunitario. Numerosi studi hanno evidenziato la capacità del tumore di bloccare la risposta di difesa dell’organismo, producendo nel tempo proteine in grado di frenare l’attività delle cellule immunitarie, come i linfociti T.

La ricerca coordinata da Pankaj Trivedi della Sapienza, in collaborazione con il Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) afferente alla Harvard Medical School, suggerisce un nuovo approccio terapeutico per i tumori di origine infettiva.

Immunoevasione: come fermarla

Due azioni combinate possano infatti essere applicate per neutralizzare il meccanismo di immunoevasione: da una parte, sfruttando anticorpi che “rimuovano” il freno all’attività dei linfociti T; dall’altra, inserendo piccole molecole di RNA nella cellula tumorale in modo che non produca più la proteina “frenante”. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Leukemia.

Tumori: il 15% ha origine infettiva

Considerato che circa il 15% di tutti i tumori umani hanno un’origine infettiva, il team di ricerca ha identificato il meccanismo di immunoevasione di un virus, l’Epstein-Barr Virus (EBV), associato al linfoma di Burkitt, il linfoma diffuso a grandi cellule B, il linfoma di Hodgkin e il carcinoma nasofaringeo.

L’osservazione diretta dell’interazione fra le cellule T del sistema immunitario e quelle tumorali è stata possibile grazie a un chip 3D in microfluidica, un metodo innovativo sviluppato da Eleni Anastasiadou laureata alla Sapienza, attualmente ricercatrice a Harvard e primo autore dello studio, che ha ottenuto un brevetto congiunto fra BIDMC, Harvard Medical School e Sapienza.

Molecola PD-L1 e linfociti T

Grazie a questo metodo i ricercatori hanno descritto il comportamento del virus e i conseguenti processi molecolari. “Diversi tumori molto aggressivi – spiega Pankaj Trivedi del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza – esprimono sulla superficie delle loro cellule la molecola PD-L1, che legandosi al recettore dei linfociti T, PD-1, li disattiva, ingannando in questo modo il nostro sistema immunitario”.

Questo studio amplia lo scenario dell’immunoterapia, a oggi basata prevalentemente sull’uso di anticorpi monoclonali con un margine di successo solo nel 20-40% dei casi.

La speranza è che la combinazione di anticorpi diretti contro PD-L1 e di molecole di RNA – conclude Trivedi – possa avere una maggiore efficacia rispetto alle terapie tradizionali e aumentare significativamente le possibilità di successo fra i casi”.

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